Gesualdo Bufalino
Una doppia tentazione ci coglie davanti alle sue opere: da un canto si avrebbe voglia di abbandonarsi a un giudizio ingenuo, scompagnato dai clamori che ci vengono della sua leggenda di musicista, cantante e poeta; dall’altra sentiamo di non poterla eludere, codesta leggenda, tanto necessariamente essa cospira a darci il ritratto intero dell’uomo. In altri termini la pittura di Battiato, qualora pretendessimo di canalizzarla in un comodo alveo di neoprimitivismo, dimenticando la ricchezza operativa e intellettuale che la sorregge, rischierebbe di apparirci l’hobby un artista episodico e dimezzato; mentre, viceversa, osservandola con tutti due gli occhi, della natura e della cultura, ne vedremo i colori sposarsi affettuosamente alle note, alle parole, alle meditazioni dell’autore e in quest’alleanza, per non dire connivenza, spiegarci la cifra inconfondibile di un’anima. Angelicità, pudore, tremore devoto di fronte al cangiante velo di Maya delle apparenze… tali sono le prime sigle critiche che vengono in mente e possono anche sommariamente servire. A patto che non stingano in etichette ma c’introducano a un orizzonte d’attesa comune nello stesso tempo all’autore e a noi spettatori. L’attesa d’un prodigio, o, se si vuole, il risveglio dopo il prodigio. Quasi che, tanto nel giro degli astri quanto nel battito dei nostri cuori, avvenisse o fosse or ora avvenuto o dovesse fra un istante avvenire un arresto numinoso del tempo. Qui a me pare stia il segreto di Battiato: nell’aver risolto in termini di umana letizia il commercio quotidiano col sacro: come di chi senta dentro di sé quietamente convivere immanenza e trascendenza e indugi sulla soglia del tempo con pacificato spavento, sentendosi alle labbra salire una puerile preghiera.
Misticismo, cabala per iniziati? Qualcosa di più che questo, essendo l’esoterismo di Battiato la faccia gemella del suo essoterismo: come dire che l’urgenza del colloquio privato con l’inconoscibile non esita a farsi rito pubblico, comunione, messa gioiosa.Ieri con una folla plaudente su un palcoscenico; oggi con una schiera di fedeli guardoni nella sala d’una galleria d’arte…Poliedrico Franco, dispari e uno, com’è inevitabile in una civiltà che sempre più tende a tradurre i moti intimi della coscienza in una grande festa plurale e assolutoria: una festa dello spirito, se è vero, come suona il motto evangelico, che lo spirito soffia dove vuole.
Manlio Sgalambro
Il senso della bellezza torna a occupare un posto nella nostra vita. La bellezza chiama. Il nihilismo artistico in cui siamo vissuti è stato soprattutto un nihilismo pittorico. Per ciò che offriva agli occhi abbiamo avuto per lo più noia e indifferenza. “Tutti i quadri sono belli”: ‘et omnia bona sunt’. Come un dio stanco il testimone dell’arte visiva sbadigliava trovando tutto buono. Cercavamo a volte il bello ma trovavamo solo “abbellimento”. In realtà la visività oggi è in pericolo. Tutto è indirizzato agli occhi…
L’uomo oculare – l’uomo d’oggi, cioè – costruisce le sue cose in funzione della sua vista e si appaga della loro presenza . Ma che forse la vista è, come egli crede, soltanto ciò che “vede” e ciò che vede soltanto “presenza”? “La vista ha una funzione profetica. Più che per se stessa ci interessa per l’indicazione di quanto può avvenire… La vista è un mezzo per presentare psichicamente ciò che in realtà è assente, e poiché l’essenza della cosa è ciò che esiste anche in nostra assenza, la cosa viene spontaneamente concepita in termini visivi” (Santayana, The Sense of Beauty). Qui Santayana distribuisce saggiamente le forze dell’azione visiva. Chi vede solo ciò che ha davanti agli occhi in realtà non vede. C’è bisogno di esser platonici? La forza di un quadro è quella di restituire un’assenza. Ma vorrei andare un po’ più in là. La presenza pittorica richiami pure l’assenza (che è infine la bellezza) o no.
Ma chi vuole vedere la bellezza cosparsa sul quadro come magica polvere soffrirà le pene dell’inferno. Perché il suo desiderio non sarà appagato. La bellezza è un invito che il quadro le rivolge pressante: può essergli rifiutato. Le mani calde della bellezza hanno accarezzato il quadro di questo pittore. Eppure tutto è “semplice”. Il ritmo della simmetria induce all’equilibro l’occhio che guarda. I nostri sensi logorati riacquistano vita. S’intende, non è offerto molto alla loro cupidigia. Perché ci si possa ubriacare, manca il “pittoresco”. Pittura senza pittoresco: non ne vedevamo da molto. C’è invece, ne siamo testimoni, quello che il nobile Santayana (questo quadro ci ha rimandato a lui e lui a questo quadro) chiama: “la capacità permanente di piacere”. Battiato ci vuole infine convincere che riprodurre l’imperfezione – il destino dei moderni – è da anime ignobili. Forse è vero.